(Segretario Generale dell'AGL, Alleanza Generale del Lavoro) (Presidente Nazionale di ALP-AGL Alleanza Lavoratori Pubblici) (Direttore di EUROPE CHINESE NEWS) (Presidente A.I.SO.P. Zonale Milano MI13, Associazione Italiana Sostituti d'Imposta e Professionisti, associazione datoriale aderente a Confindustria) (Responsabile Uff.Periferico CAF Lavoro e Fisco Milano Viale Monza 6, anche sede Patronato A.I.SO.P. e INPAS) (Collaboratore di ASS.LIBER.COOP Libere Cooperative Associate)
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lunedì 31 dicembre 2012
sabato 29 dicembre 2012
CONTRO I SINDACATI CORPORATIVI DEI DIRIGENTI STATALI SIAMO DALLA PARTE DI GIAVAZZI,ALESINA E DI COLORO CHE, SE DIRIGENTI, SERVANO IL PAESE E NON SE' STESSI E I LORO PADRINI
Levata di scudi dei sindacati
corporativi della dirigenza statale contro l'articolo di Giavazzi e
Alesina intitolato: “I distruttori delle riforme”
Per chi non ricordasse, clicchi sul
seguente link:
Si esordisce con banalità belle e
buone, dichiarando di rappresentare la dirigenza che vuole le
riforme. Ma tutti in Italia vogliono le riforme. Solo con un piccolo
particolare: che nessuno precisa quali siano le riforme che si
vogliono, quindi è sottinteso che, dato che nel mondo del lavoro
nessuno è masochista, il criterio sia quello “purchè non vengano
lesi i nostri interessi” (e questi, invece, ogni categoria sa
benissimo quali siano).Altra ipocrisia, quella di presumere che la
dirigenza sia abituata a rispettare le leggi, quando è ormai
comunemente acquisita la convinzione che in Italia (Giovanni
Giolitti) “Per i cittadini le leggi si applicano, per gli amici si
interpretano, per alcuni si eludono “. E poiché il politico si
occupa di politica e di farle, le leggi, e l'impiegato dipende dal
dirigente, ormai dovrebbe essere scontato che sia quella del
dirigente la figura più rilevante di quella delicata fase.
Che certa dirigenza non voglia essere
eletta, lo sapevamo. Ovvio: per non dover rendere conto a nessuno dei
propri abusi . Ma nessuno ha mai chiesto questo (l'elettività). Quel
che si pretende è che la dirigenza faccia funzionare lo Stato al
meglio, coordinandosi e non remando contro dei politici che siano
eletti dal popolo.Se il dirigente, come avviene ora, ha la libertà
di ostacolare l'esplicarsi della volontà popolare è come se si
inserisse della sabbia in un motore. Se la maggioranza
dell'elettorato dà fiducia a una determinata coalizione è giusto
che alla stessa venga messa a disposizione la macchina migliore
possibile, scegliendosene gli uomini che la compongono, in modo da
non avere alibi in caso di fallimento, pagando l'incapacità con la
mancata rielezione.E se un dirigente dimostra capacità e
applicazione in un quinquennio perchè non potrebbe vedersi
riconfermato nell'incarico? Quale politico, anche di parte avversa,
avrebbe interesse a non farlo? Questa storia poi che i dirigenti non
possano operare perchè i politici non sanno fare le leggi non la
beve più nessuno.Tutti sanno ad esempio che la Fornero ha toppato
sulla vicenda esodati non perchè era con la testa fra le nuvole ma
perchè tradita dai dirigenti del suo Ministero cui aveva affidato,
giustamente, l'elaborazione della riforma dal punto di vista
tecnico.Chi ha pagato per questo svarione che ha rovinato la vita a
migliaia di persone? Ancora stiamo aspettando che in quel Dicastero
qualcuno venga avvicendato da gente più preparata colpevole solo di
non far parte di cordate di padrini presenti e passati (ma ancora
presenti...).Potremmo fare decine di altri esempi come questo.Lo
Spoils System istituzionalizzerebbe questa sana pulizia periodica,
liberando la PA da dirigenti incapaci che tolgono lavoro ad altri
dirigenti più preparati e bravi.Quelli che “adattano” le
proposte di efficientamento della PA non sono i politici i quali
vanno e vengono e spesso non sanno neppure come è fatta
l'amministrazione di cui vengono nominati ministri (tanto sanno che
stando così le cose, sarebbe fatica sprecata cercare di apprendere e
quindi si affidano al capo di gabinetto o a referenti interni magari
conosciuti in passato) ma i padrini, quelli che vogliono mantenere i
posti inutili per gli amici incapaci o peggio.
Altra perla è quella di rivendicare
maggiore attendibilità per il solo fatto di essere riusciti a essere
ricompresi nelle OO.SS. Rappresentative in alcune aree della
dirigenza.Ma come? Non avevamo detto che la dirigenza è al servizio
dello Stato, quindi dei cittadini? E si ha presente cosa pensano i
cittadini della Pubblica Amministrazione diretta, in ogni ramo, da
anni, da chi ha vinto un concorso ed è stato nominato con i
meccanismi che tutti conosciamo?Cerchiamo quindi innanzitutto di
ripristinare livelli minimi di decenza nei comportamenti di fronte
all'opinione pubblica (esempio: perchè i dirigenti del Ministero del
Lavoro non restituiscono i premi di recente elargiti a pioggia, senza
effettivi criteri meritocratici dalla Fornero,
chiedendo innanzitutto che siano
rideterminati , rendendo pubblici non solo le somme ma soprattutto
quali obbiettivi si sarebbero raggiunti da ognuno tali da
giustificare l'eventuale premio?E restituendo ciò che avanza allo
Stato?) dopo, ma solo dopo, una categoria di lavoratori potrà dire
la sua su un problema (l'eventuale adozione di un sistema di spoils
system) che , ovviamente, è soprattutto di interesse generale e solo
di riflesso categoriale. Non c'è di peggio, per ogni Casta, che le
proprie questioni vengano portate in piazza da chi, per giunta, come
gli illustri professori, non può venir colpito dalle ritorsioni di
una Pubblica Amministrazione che al suo interno, ci risulta, non a
caso, sia divenuta molto più spietata nell'utilizzo dello strumento
disciplinare finalizzato a non far trapelare verità scomode. E chi è
deputato ad avviare l'azione disciplinare?Guarda caso: il dirigente.
La reazione scomposta della dirigenza a
questi rilievi di Giavazzi e Alesina si sta quindi trasformando in un
boomerang per la Casta dirigenziale rivelando all'opinione pubblica
che esiste da anni una questione di democrazia e di limitazione di
diritti che va risolta (è noto che per il dipendente pubblico, in
conflitto col dirigente, l'attuale normativa preveda una tutela
giurisdizionale pressochè inesistente).
E' addirittura comico che dirigenti
sindacali pubblici abbiano elaborato un manifesto (mandandolo al
Corriere della Sera ) non per dire chiaramente cosa loro ritenessero
giusto ma per far recitare a un ipotetico cittadino una specie di
poesia di natale in cui egli descrivesse il suo ideale di dirigente
statale. Cioè, questi signori sono talmente abituati a fare il bello
e il cattivo tempo che addirittura trattano il cittadino come quel
pappagallo in braccio al ventriloquo cui viene fatto dire di tutto e
di più secondo i propri comodi.
Ognuno è libero di scrivere ciò che
crede come vuole, suggeriremmo però, per testare appieno il sostegno
popolare alle tesi di questi sindacati corporativi che ambiscono a
parlare anche in nome del popolo, di far visionare (e controfirmare,
per solidarietà) i punti del manifesto:
- a quei giovani laureati senza entrature che hanno sperimentato sulla loro pelle cosa significhi tentare di diventare dirigente pubblico tramite concorso
- a quei dipendenti pubblici che sanno effettivamente se è vero che i più bravi e solo loro possano diventare in Italia dirigenti pubblici
- a coloro che invano cercano su internet gli obbiettivi chiari e misurabili su cui si è convinti che si siano misurati i dirigenti
- agli impiegati che custodiscono i faldoni o i files contenenti le “valutazioni meritocratiche” di dirigenti verso altri dirigenti e a tutti gli studiosi che da decenni elaborano ipotesi su sistemi valutativi attendibili per i dirigenti
- agli impiegati che hanno lavorato fianco a fianco con dirigenti che hanno servito lo stato con poca dignità e poco onore, spesso silenti per timore
- ai cittadini e alle imprese che hanno ricevuto danni irreparabili a causa dei tempi e delle modalità di attuazione delle leggi da parte di dirigenti pubblici
- agli aspiranti dirigenti di giovane età che dovrebbero attendere che per 40 anni o più il dirigente possa esercitare la propria funzione, indipendentemente dai risultati e alla faccia delle attuali normative che prevedono il contratto a tempo determinato
- ai politici che si sono visti sistematicamente boicottati dalla dirigenza (e dai sindacati loro alleati) quando hanno tentato di cambiare qualcosa nel funzionamento del proprio dicastero, dovendosi arrendere
E' singolare che si trasformi la
realtà, non ammettendo che non è il cittadino che non vuole che il
dirigente sia amico del politico di turno ma è il dirigente che è
terrorizzato dall'eventuale amicizia del cittadino col politico.E
spinge il cittadino ad avvicinare il politico per chiedere un favore,
essendo questa l'unica condizione per avere, in tempi brevi, quanto
occorre a sé stesso o alla propria azienda per sopravvivere.E' tutto
il meccanismo quindi che è bloccato (soprattutto in certe zone del
paese). Il rimedio è in un cittadino con un maggiore senso civico,
in un politico correttamente scelto dal popolo disincentivato a
praticare la corruzione ma, soprattutto, in una dirigenza soggetta a
un rinnovamento periodico e predeterminato, per evitare incrostazioni
e deviazioni personalistiche o di gruppo di interesse.
I dirigenti italiani dovrebbero
smetterla di dare sostegno a questi falsi e fallimentari tutori
sindacali dei loro interessi. Perchè fallimentari? Perchè hanno
posto la dirigenza contro il popolo italiano, invece di renderla
protagonista del necessario cambiamento, condannandoli, alla lunga, a
una sicura sconfitta .Il cittadino non è stupido, comprende, quando
ha un rapporto di anni con un ufficio importante per la propria vita
e per il proprio lavoro, che se i politici (e i partiti) vanno e
vengono, gli impiegati sono tartassati, malpagati e umiliati e i
dirigenti mantengono la stessa poltrona per anni senza che ciò sia
giustificato da risultati, è nella dirigenza che c'è qualcosa che
non va. I sindacati della dirigenza se la prendono con i politici, ma
vi ingannano. Chi è dentro a queste realtà sa che vi sono figure
nell'ombra, tramite tra dirigenza e politici (e partiti) di turno,
spesso ex dirigenti e/o sindacalisti di quella amministrazione (i
padrini) , che pochi (i sindacati sicuramente)conoscono ma che tirano
le fila dei “movimenti” che contano. Che sono in grado di far
stare sulla stessa poltrona per anni lo stesso dirigente o di
avvicendarlo, mettendo ogni pedina al proprio posto, anche tramite
trasferimenti velocissimi. Spesso lo scambio di favori e il nepotismo
e non certo il pubblico interesse è il motore di questi movimenti.
E' umiliante che ancora in Italia una
persona brava e preparata che voglia fare carriera debba sottostare a
queste logiche e compromessi. Ecco, questo è ciò contro cui devono
combattere i dirigenti che intendano servire lo Stato e non altre
entità. Lo Spoils System è temutissimo da questo sistema perchè da
una parte promuoverebbe il periodico forzato cambiamento togliendo il
potere a questi “pupari” e dall'altra creerebbe un legame forte
tra cittadini elettori, politica, dirigenza per una PA più
efficiente, rendendo inutile il ruolo di questi convitati di pietra.
Come vedete, siamo di fronte ad un
altro esempio di come la nostra povera Carta Costituzionale (in
alcune parti, certamente, da cambiare) sia stata strumentalizzata per
scopi tutt'altro che alti.
Speriamo che le prossime elezioni
portino elementi di novità in materia.
martedì 11 dicembre 2012
SPOILS SYSTEM: FINALMENTE NON SIAMO PIU' SOLI, IN ITALIA, A SOSTENERLO APERTAMENTE
DAL “CORRIERE DELLA SERA” DEL
5.12.2012
I distruttori delle riforme
di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi
“Sì dice spesso che le riforme non si fanno perché lo
slancio riformatore di molti governi (compreso quello attuale) è
bloccato dai partiti, i quali in Parlamento difendono gli
interessi di chi, per effetto di quelle riforme, perderebbe i
propri privilegi. Vero, ma non è l’unico scoglio. Un altro
ostacolo, altrettanto importante, è frapposto dalla burocrazia
e dai suoi alti dirigenti. Un esempio: da oltre sei mesi si
discute di come eliminare i sussidi e le agevolazioni di cui
godono talune imprese (senza vi sia alcuna evidenza che questi
aiuti favoriscano la crescita), in cambio di una riduzione del
cuneo fiscale, cioè restringendo la forbice che separa il costo
del lavoro per l’impresa dal salario percepito dal lavoratore.
È una scelta con la quale concordano sia Confindustria sia i
sindacati.
Ma la proposta, pur auspicata dal presidente del Consiglio, non è neppure arrivata in Parlamento: da mesi la burocrazia la blocca. Perché? Semplice: eliminare questo o quel sussidio significa chiudere l’ufficio ministeriale che lo amministra e assegnare il dirigente che lo guida a un diverso incarico. Ciò per lui significa perdere il potere che deriva dall’amministrare ingenti risorse pubbliche. È così che i dirigenti si oppongono sempre e comunque a riduzioni della spesa che amministrano, indipendentemente dal fatto che serva, o meno, a qualcosa. Ma basta questo per bloccare una riforma che anche i partiti in Parlamento auspicano? Perché la burocrazia ha questo potere? Fino a qualche anno fa i funzionari erano di fatto inamovibili: i ministri andavano e venivano, ma i dirigenti dei ministeri rimanevano. Non è più così. Oggi gli alti funzionari si possono sostituire, e tuttavia nulla è cambiato.
Il motivo del loro potere è più sottile e ha a che fare con il monopolio delle informazioni. La gestione di un ministero è una questione complessa, che richiede dimestichezza con il bilancio dello Stato e il diritto amministrativo, e soprattutto buoni rapporti con la burocrazia degli altri ministeri. I dirigenti hanno il monopolio di questa informazione e di questi rapporti, e hanno tutto l’interesse a mantenerlo. Hanno anche l’interesse a rendere il funzionamento dei loro uffici il più opaco e complicato possibile, in modo da essere i soli a poterli far funzionare. E così quando arriva un nuovo ministro, animato dalle migliori intenzioni (soprattutto se estraneo alla politica e per questo più propenso al cambiamento), a ogni sua proposta la burocrazia oppone ostacoli che appaiono incomprensibili, ma che i dirigenti affermano essere insormontabili.
E comunque gli ricordano che prima di pensare alle novità ci sono decine di scadenze e adempimenti di cui occuparsi: non farlo produrrebbe effetti gravissimi. Spaventato, il ministro finisce per affidarsi a chi nel ministero c’è da tempo. È l’inizio della fine delle riforme. E se per caso il governo ne vara qualcuna senza ascoltare la burocrazia, questa mette in campo uno strumento potente: solo i dirigenti, infatti, sono in grado di redigere i decreti attuativi, senza i quali la nuova legge è inefficace. Basta ritardarli o scriverli prevedendo norme inapplicabili per vanificare la riforma.
Ma la proposta, pur auspicata dal presidente del Consiglio, non è neppure arrivata in Parlamento: da mesi la burocrazia la blocca. Perché? Semplice: eliminare questo o quel sussidio significa chiudere l’ufficio ministeriale che lo amministra e assegnare il dirigente che lo guida a un diverso incarico. Ciò per lui significa perdere il potere che deriva dall’amministrare ingenti risorse pubbliche. È così che i dirigenti si oppongono sempre e comunque a riduzioni della spesa che amministrano, indipendentemente dal fatto che serva, o meno, a qualcosa. Ma basta questo per bloccare una riforma che anche i partiti in Parlamento auspicano? Perché la burocrazia ha questo potere? Fino a qualche anno fa i funzionari erano di fatto inamovibili: i ministri andavano e venivano, ma i dirigenti dei ministeri rimanevano. Non è più così. Oggi gli alti funzionari si possono sostituire, e tuttavia nulla è cambiato.
Il motivo del loro potere è più sottile e ha a che fare con il monopolio delle informazioni. La gestione di un ministero è una questione complessa, che richiede dimestichezza con il bilancio dello Stato e il diritto amministrativo, e soprattutto buoni rapporti con la burocrazia degli altri ministeri. I dirigenti hanno il monopolio di questa informazione e di questi rapporti, e hanno tutto l’interesse a mantenerlo. Hanno anche l’interesse a rendere il funzionamento dei loro uffici il più opaco e complicato possibile, in modo da essere i soli a poterli far funzionare. E così quando arriva un nuovo ministro, animato dalle migliori intenzioni (soprattutto se estraneo alla politica e per questo più propenso al cambiamento), a ogni sua proposta la burocrazia oppone ostacoli che appaiono incomprensibili, ma che i dirigenti affermano essere insormontabili.
E comunque gli ricordano che prima di pensare alle novità ci sono decine di scadenze e adempimenti di cui occuparsi: non farlo produrrebbe effetti gravissimi. Spaventato, il ministro finisce per affidarsi a chi nel ministero c’è da tempo. È l’inizio della fine delle riforme. E se per caso il governo ne vara qualcuna senza ascoltare la burocrazia, questa mette in campo uno strumento potente: solo i dirigenti, infatti, sono in grado di redigere i decreti attuativi, senza i quali la nuova legge è inefficace. Basta ritardarli o scriverli prevedendo norme inapplicabili per vanificare la riforma.
Prendiamo il caso delle pur timide liberalizzazioni
varate in primavera con il decreto «cresci Italia»: come
ricordava il Corriere il 19 novembre, fino a poche settimane
fa, su 53 regolamenti attuativi ne erano stati emanati
soltanto 11.
Che fare? La prima decisione di ogni nuovo ministro deve essere la sostituzione degli alti dirigenti del ministero che gli è stato affidato, a partire dal capo di gabinetto. Il ricambio deve cominciare da coloro che da più tempo occupano lo stesso posto e per questo sono spesso i più conservatori, cioè i meno propensi al cambiamento. I costi sono ovvi: un nuovo dirigente ci metterà un po' a prendere in mano le redini del ministero. Ma è un costo che val la pena pagare, quanto più si vuol cambiare.
Certo, c'è il rischio che le nomine siano solo politiche, e cioè che invece di dirigenti preparati il ministro scelga in base alle appartenenze politiche. Questo è possibile, ma saranno poi gli elettori a decidere se un governo ha cambiato qualcosa. E i cittadini giudicheranno un governo anche dalla qualità delle persone cui ha affidato l'amministrazione dello Stato. È comunque un sistema migliore di quello di oggi in cui dirigenti non eletti ostacolano e influenzano l'operato di governi eletti direttamente, o indirettamente come nel caso di questo governo «tecnico».”
Che fare? La prima decisione di ogni nuovo ministro deve essere la sostituzione degli alti dirigenti del ministero che gli è stato affidato, a partire dal capo di gabinetto. Il ricambio deve cominciare da coloro che da più tempo occupano lo stesso posto e per questo sono spesso i più conservatori, cioè i meno propensi al cambiamento. I costi sono ovvi: un nuovo dirigente ci metterà un po' a prendere in mano le redini del ministero. Ma è un costo che val la pena pagare, quanto più si vuol cambiare.
Certo, c'è il rischio che le nomine siano solo politiche, e cioè che invece di dirigenti preparati il ministro scelga in base alle appartenenze politiche. Questo è possibile, ma saranno poi gli elettori a decidere se un governo ha cambiato qualcosa. E i cittadini giudicheranno un governo anche dalla qualità delle persone cui ha affidato l'amministrazione dello Stato. È comunque un sistema migliore di quello di oggi in cui dirigenti non eletti ostacolano e influenzano l'operato di governi eletti direttamente, o indirettamente come nel caso di questo governo «tecnico».”
**************************
COMMENTO AGL
Abbiamo più volte sollevato il tema in
precedenti nostri interventi e quindi, basta andare a rileggerli:
Non possiamo che concordare pienamente
con quanto sostenuto dagli illustri professori e auspichiamo che
attorno a questo obbiettivo si formi un vasto movimento di opinione
pubblica, di forze politiche e sociali e di lavoratori.
I primi a sostenere queste tesi
dovrebbero essere proprio quei dirigenti che oggi, pochi e isolati,
all'interno della burocrazia italiana, nonostante tutto, si
comportano in maniera eccellente.
La politica ha le sue responsabilità
gravi e indubbie ma la costante accusa verso di essa da parte della
dirigenza ormai convince pochi. Basti evidenziare che è proprio
sulla dirigenza (i “tecnici”)che gli uffici legislativi degli
uomini politici si appoggiano quando devono elaborare il testo di
nuove leggi. E questo dall'Unità d'Italia ad oggi. Di chi è la
colpa quindi della farraginosità delle norme?
E' fallita, come soluzione
sperimentata, la “privatizzazione” della dirigenza la quale se
non ha avuto spazio dalla politica è perchè ciò ha fatto comodo a
molti dirigenti. La “valutazione” è una sciocchezza se demandata
ai politici o a tecnici esterni alla PA o a pari, interni, dei
dirigenti della PA stessi (la famosa “autonomia valutativa” della
dirigenza ossia: “solo chi sa il mestiere può valutare
adeguatamente il lavoro del suo collega”).
La crescita esponenziale indiscriminata
delle retribuzioni dirigenziali ha fatto solo danni, che i cittadini
patiranno ancora per molto tempo, in futuro. Si è totalmente persa
l'etica del lavoro. Quasi tutti i dirigenti non hanno più come
ideale il bene dello Stato e dei cittadini bensì il successo
economico personale. Si disse: “se vogliamo i migliori dobbiamo
pagarli”. Solo che non si è mai capito perchè il flusso dei
dirigenti fosse unidirezionale (dall'esterno alla PA, senza ritorno).
Evidentemente perchè fare il dirigente all'interno della PA
significava sottrarsi alla concorrenza e alla meritocrazia.
E' strumentale e ipocrita l'uso che si
è fatto delle norme costituzionali in materia: il buon andamento non
c'è mai stato (domandatelo, nel dubbio, ai cittadini) e la
parzialità della PA è stata la regola non scritta cui tutti in
Italia si sono adeguati per timore di ritorsioni. Se notate, tutti
coloro che disquisiscono sul tema ancora non hanno chiaro dove
finisca il compito della politica e dove inizi quello della
dirigenza. Poiché ciò è controverso e ognuno decide per sé, il
risultato è la sovrapposizione. La coscienza si mette a posto anche
solo avendo enunciato il problema, senza risolverlo in maniera
soddisfacente. Non a caso, i modelli di PA esteri (che in Italia non
riusciremo mai a emulare perchè l'italiano è italiano e natura non
facit saltus) divergono nella sostanza da quello nostrano.
Lo Spoils System sarebbe un sistema
vincente poiché è colui che è stato eletto dai cittadini ad essere
il primo interessato ad essere riconfermato e quindi a circondarsi
degli esecutori più preparati, esperti e capaci. Pericoli? Come in
tutte le cose umane e per questo la presenza della Magistratura va
rafforzata, secondo noi, rendendola elettiva, quindi specchio
anch'essa del volere dei cittadini. Tutto ciò implica una necessaria
revisione della Costituzione che speriamo possa avvenire nella
prossima legislatura. Se non altro perchè ormai è chiaro che questo
sistema non ha funzionato. Da decenni. A chi formula ipotesi
catastrofiste (danni, conflittualità, contenziosi, ecc.) in caso di
cambiamento, rispondiamo: siamo scesi talmente in basso e siamo
ridotti così male che l'unica possibilità di salvarci (noi, lo
Stato, l'economia, la democrazia) è cambiare. Peggio di così non
può andare... E' più semplice azzerare tutto e ricostruire una
organizzazione più moderna, snella efficiente che cercare di
modificare questa giungla. Tutti hanno fallito e non si vedono
all'orizzonte soggetti in grado di metterci le mani con successo. Ha
fallito in questo Berlusconi, così come la sinistra, così come il
centro e i tecnici. I cittadini non hanno più voglia né soldi da
buttare in questo apparato fallimentare e mostruoso. Liberiamocene e
rifacciamo tutto nuovo. Chi vuole, continui pure a sognare ad occhi
aperti, formulando generiche e illusorie frasi programmatiche: lo fa
da anni , senza essere venuto a capo di nulla.
lunedì 3 dicembre 2012
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