DAL “CORRIERE DELLA SERA” DEL
5.12.2012
I distruttori delle riforme
di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi
“Sì dice spesso che le riforme non si fanno perché lo
slancio riformatore di molti governi (compreso quello attuale) è
bloccato dai partiti, i quali in Parlamento difendono gli
interessi di chi, per effetto di quelle riforme, perderebbe i
propri privilegi. Vero, ma non è l’unico scoglio. Un altro
ostacolo, altrettanto importante, è frapposto dalla burocrazia
e dai suoi alti dirigenti. Un esempio: da oltre sei mesi si
discute di come eliminare i sussidi e le agevolazioni di cui
godono talune imprese (senza vi sia alcuna evidenza che questi
aiuti favoriscano la crescita), in cambio di una riduzione del
cuneo fiscale, cioè restringendo la forbice che separa il costo
del lavoro per l’impresa dal salario percepito dal lavoratore.
È una scelta con la quale concordano sia Confindustria sia i
sindacati.
Ma la proposta, pur auspicata dal presidente del Consiglio, non è neppure arrivata in Parlamento: da mesi la burocrazia la blocca. Perché? Semplice: eliminare questo o quel sussidio significa chiudere l’ufficio ministeriale che lo amministra e assegnare il dirigente che lo guida a un diverso incarico. Ciò per lui significa perdere il potere che deriva dall’amministrare ingenti risorse pubbliche. È così che i dirigenti si oppongono sempre e comunque a riduzioni della spesa che amministrano, indipendentemente dal fatto che serva, o meno, a qualcosa. Ma basta questo per bloccare una riforma che anche i partiti in Parlamento auspicano? Perché la burocrazia ha questo potere? Fino a qualche anno fa i funzionari erano di fatto inamovibili: i ministri andavano e venivano, ma i dirigenti dei ministeri rimanevano. Non è più così. Oggi gli alti funzionari si possono sostituire, e tuttavia nulla è cambiato.
Il motivo del loro potere è più sottile e ha a che fare con il monopolio delle informazioni. La gestione di un ministero è una questione complessa, che richiede dimestichezza con il bilancio dello Stato e il diritto amministrativo, e soprattutto buoni rapporti con la burocrazia degli altri ministeri. I dirigenti hanno il monopolio di questa informazione e di questi rapporti, e hanno tutto l’interesse a mantenerlo. Hanno anche l’interesse a rendere il funzionamento dei loro uffici il più opaco e complicato possibile, in modo da essere i soli a poterli far funzionare. E così quando arriva un nuovo ministro, animato dalle migliori intenzioni (soprattutto se estraneo alla politica e per questo più propenso al cambiamento), a ogni sua proposta la burocrazia oppone ostacoli che appaiono incomprensibili, ma che i dirigenti affermano essere insormontabili.
E comunque gli ricordano che prima di pensare alle novità ci sono decine di scadenze e adempimenti di cui occuparsi: non farlo produrrebbe effetti gravissimi. Spaventato, il ministro finisce per affidarsi a chi nel ministero c’è da tempo. È l’inizio della fine delle riforme. E se per caso il governo ne vara qualcuna senza ascoltare la burocrazia, questa mette in campo uno strumento potente: solo i dirigenti, infatti, sono in grado di redigere i decreti attuativi, senza i quali la nuova legge è inefficace. Basta ritardarli o scriverli prevedendo norme inapplicabili per vanificare la riforma.
Ma la proposta, pur auspicata dal presidente del Consiglio, non è neppure arrivata in Parlamento: da mesi la burocrazia la blocca. Perché? Semplice: eliminare questo o quel sussidio significa chiudere l’ufficio ministeriale che lo amministra e assegnare il dirigente che lo guida a un diverso incarico. Ciò per lui significa perdere il potere che deriva dall’amministrare ingenti risorse pubbliche. È così che i dirigenti si oppongono sempre e comunque a riduzioni della spesa che amministrano, indipendentemente dal fatto che serva, o meno, a qualcosa. Ma basta questo per bloccare una riforma che anche i partiti in Parlamento auspicano? Perché la burocrazia ha questo potere? Fino a qualche anno fa i funzionari erano di fatto inamovibili: i ministri andavano e venivano, ma i dirigenti dei ministeri rimanevano. Non è più così. Oggi gli alti funzionari si possono sostituire, e tuttavia nulla è cambiato.
Il motivo del loro potere è più sottile e ha a che fare con il monopolio delle informazioni. La gestione di un ministero è una questione complessa, che richiede dimestichezza con il bilancio dello Stato e il diritto amministrativo, e soprattutto buoni rapporti con la burocrazia degli altri ministeri. I dirigenti hanno il monopolio di questa informazione e di questi rapporti, e hanno tutto l’interesse a mantenerlo. Hanno anche l’interesse a rendere il funzionamento dei loro uffici il più opaco e complicato possibile, in modo da essere i soli a poterli far funzionare. E così quando arriva un nuovo ministro, animato dalle migliori intenzioni (soprattutto se estraneo alla politica e per questo più propenso al cambiamento), a ogni sua proposta la burocrazia oppone ostacoli che appaiono incomprensibili, ma che i dirigenti affermano essere insormontabili.
E comunque gli ricordano che prima di pensare alle novità ci sono decine di scadenze e adempimenti di cui occuparsi: non farlo produrrebbe effetti gravissimi. Spaventato, il ministro finisce per affidarsi a chi nel ministero c’è da tempo. È l’inizio della fine delle riforme. E se per caso il governo ne vara qualcuna senza ascoltare la burocrazia, questa mette in campo uno strumento potente: solo i dirigenti, infatti, sono in grado di redigere i decreti attuativi, senza i quali la nuova legge è inefficace. Basta ritardarli o scriverli prevedendo norme inapplicabili per vanificare la riforma.
Prendiamo il caso delle pur timide liberalizzazioni
varate in primavera con il decreto «cresci Italia»: come
ricordava il Corriere il 19 novembre, fino a poche settimane
fa, su 53 regolamenti attuativi ne erano stati emanati
soltanto 11.
Che fare? La prima decisione di ogni nuovo ministro deve essere la sostituzione degli alti dirigenti del ministero che gli è stato affidato, a partire dal capo di gabinetto. Il ricambio deve cominciare da coloro che da più tempo occupano lo stesso posto e per questo sono spesso i più conservatori, cioè i meno propensi al cambiamento. I costi sono ovvi: un nuovo dirigente ci metterà un po' a prendere in mano le redini del ministero. Ma è un costo che val la pena pagare, quanto più si vuol cambiare.
Certo, c'è il rischio che le nomine siano solo politiche, e cioè che invece di dirigenti preparati il ministro scelga in base alle appartenenze politiche. Questo è possibile, ma saranno poi gli elettori a decidere se un governo ha cambiato qualcosa. E i cittadini giudicheranno un governo anche dalla qualità delle persone cui ha affidato l'amministrazione dello Stato. È comunque un sistema migliore di quello di oggi in cui dirigenti non eletti ostacolano e influenzano l'operato di governi eletti direttamente, o indirettamente come nel caso di questo governo «tecnico».”
Che fare? La prima decisione di ogni nuovo ministro deve essere la sostituzione degli alti dirigenti del ministero che gli è stato affidato, a partire dal capo di gabinetto. Il ricambio deve cominciare da coloro che da più tempo occupano lo stesso posto e per questo sono spesso i più conservatori, cioè i meno propensi al cambiamento. I costi sono ovvi: un nuovo dirigente ci metterà un po' a prendere in mano le redini del ministero. Ma è un costo che val la pena pagare, quanto più si vuol cambiare.
Certo, c'è il rischio che le nomine siano solo politiche, e cioè che invece di dirigenti preparati il ministro scelga in base alle appartenenze politiche. Questo è possibile, ma saranno poi gli elettori a decidere se un governo ha cambiato qualcosa. E i cittadini giudicheranno un governo anche dalla qualità delle persone cui ha affidato l'amministrazione dello Stato. È comunque un sistema migliore di quello di oggi in cui dirigenti non eletti ostacolano e influenzano l'operato di governi eletti direttamente, o indirettamente come nel caso di questo governo «tecnico».”
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COMMENTO AGL
Abbiamo più volte sollevato il tema in
precedenti nostri interventi e quindi, basta andare a rileggerli:
Non possiamo che concordare pienamente
con quanto sostenuto dagli illustri professori e auspichiamo che
attorno a questo obbiettivo si formi un vasto movimento di opinione
pubblica, di forze politiche e sociali e di lavoratori.
I primi a sostenere queste tesi
dovrebbero essere proprio quei dirigenti che oggi, pochi e isolati,
all'interno della burocrazia italiana, nonostante tutto, si
comportano in maniera eccellente.
La politica ha le sue responsabilità
gravi e indubbie ma la costante accusa verso di essa da parte della
dirigenza ormai convince pochi. Basti evidenziare che è proprio
sulla dirigenza (i “tecnici”)che gli uffici legislativi degli
uomini politici si appoggiano quando devono elaborare il testo di
nuove leggi. E questo dall'Unità d'Italia ad oggi. Di chi è la
colpa quindi della farraginosità delle norme?
E' fallita, come soluzione
sperimentata, la “privatizzazione” della dirigenza la quale se
non ha avuto spazio dalla politica è perchè ciò ha fatto comodo a
molti dirigenti. La “valutazione” è una sciocchezza se demandata
ai politici o a tecnici esterni alla PA o a pari, interni, dei
dirigenti della PA stessi (la famosa “autonomia valutativa” della
dirigenza ossia: “solo chi sa il mestiere può valutare
adeguatamente il lavoro del suo collega”).
La crescita esponenziale indiscriminata
delle retribuzioni dirigenziali ha fatto solo danni, che i cittadini
patiranno ancora per molto tempo, in futuro. Si è totalmente persa
l'etica del lavoro. Quasi tutti i dirigenti non hanno più come
ideale il bene dello Stato e dei cittadini bensì il successo
economico personale. Si disse: “se vogliamo i migliori dobbiamo
pagarli”. Solo che non si è mai capito perchè il flusso dei
dirigenti fosse unidirezionale (dall'esterno alla PA, senza ritorno).
Evidentemente perchè fare il dirigente all'interno della PA
significava sottrarsi alla concorrenza e alla meritocrazia.
E' strumentale e ipocrita l'uso che si
è fatto delle norme costituzionali in materia: il buon andamento non
c'è mai stato (domandatelo, nel dubbio, ai cittadini) e la
parzialità della PA è stata la regola non scritta cui tutti in
Italia si sono adeguati per timore di ritorsioni. Se notate, tutti
coloro che disquisiscono sul tema ancora non hanno chiaro dove
finisca il compito della politica e dove inizi quello della
dirigenza. Poiché ciò è controverso e ognuno decide per sé, il
risultato è la sovrapposizione. La coscienza si mette a posto anche
solo avendo enunciato il problema, senza risolverlo in maniera
soddisfacente. Non a caso, i modelli di PA esteri (che in Italia non
riusciremo mai a emulare perchè l'italiano è italiano e natura non
facit saltus) divergono nella sostanza da quello nostrano.
Lo Spoils System sarebbe un sistema
vincente poiché è colui che è stato eletto dai cittadini ad essere
il primo interessato ad essere riconfermato e quindi a circondarsi
degli esecutori più preparati, esperti e capaci. Pericoli? Come in
tutte le cose umane e per questo la presenza della Magistratura va
rafforzata, secondo noi, rendendola elettiva, quindi specchio
anch'essa del volere dei cittadini. Tutto ciò implica una necessaria
revisione della Costituzione che speriamo possa avvenire nella
prossima legislatura. Se non altro perchè ormai è chiaro che questo
sistema non ha funzionato. Da decenni. A chi formula ipotesi
catastrofiste (danni, conflittualità, contenziosi, ecc.) in caso di
cambiamento, rispondiamo: siamo scesi talmente in basso e siamo
ridotti così male che l'unica possibilità di salvarci (noi, lo
Stato, l'economia, la democrazia) è cambiare. Peggio di così non
può andare... E' più semplice azzerare tutto e ricostruire una
organizzazione più moderna, snella efficiente che cercare di
modificare questa giungla. Tutti hanno fallito e non si vedono
all'orizzonte soggetti in grado di metterci le mani con successo. Ha
fallito in questo Berlusconi, così come la sinistra, così come il
centro e i tecnici. I cittadini non hanno più voglia né soldi da
buttare in questo apparato fallimentare e mostruoso. Liberiamocene e
rifacciamo tutto nuovo. Chi vuole, continui pure a sognare ad occhi
aperti, formulando generiche e illusorie frasi programmatiche: lo fa
da anni , senza essere venuto a capo di nulla.