Dell'ILVA di Taranto già ci eravamo
occupati in passato
il 30 luglio
il 18 agosto
e il 23 agosto
La situazione è evoluta fino all'epilogo
di stamattina
Dalla lettura delle nostre iniziali
prese di posizione, che confermiamo al cento per cento anche alla luce dei più
recenti avvenimenti, potrete constatare che, come suol dirsi, avevamo
(amaramente) ragione e ci avevamo visto giusto. Purtroppo, anche per il fatto
che come AGL siamo nati a giugno, non abbiamo avuto la possibilità di essere
presenti, in loco e di parlare direttamente ai lavoratori coinvolti i quali, da
anni (ma sembra l'abbia fatto pure l'azienda) si sono costantemente e
massicciamente rivolti a CGIL, CISL, UIL. Altri sindacati minori si sono fatti
sentire ma ciò non ha spostato il baricentro della strategia del movimento di
protesta. I risultati sono stati quindi quelli che conoscete. Delusione e
disperazione dei lavoratori. Sindacati che non sanno che pesci prendere. Governo
(e istituzioni) completamente rintronati, ai massimi livelli.
Giovedì prossimo è previsto un incontro
tra governo, azienda e parti sociali che dovrebbe sfociare in un provvedimento
d'urgenza i cui contenuti, allo stato, non è dato conoscere ma che sappiamo già
non sarà risolutivo ma solo interlocutorio.
Noi non saremo a quell'incontro ma
riteniamo utile, per l'ennesima volta, a futura memoria, ribadire e specificare
il nostro punto di vista, radicalmente alternativo a quello degli altri
sindacati.
Speriamo di essere chiari, una volta per
tutte.
Produrre acciaio , anche senza
inquinare, in Italia NON è “strategico”.Non porterebbe da nessuna parte né
aumentare le tasse né richiedere prestiti alla collettività per effettuare
investimenti che tutti concordano essere dell'entità di miliardi di euro, sia
che vengano gestiti dal soggetto pubblico né, men che meno ,dal soggetto
privato. Anche se è stato praticato da altri paesi industrializzati di recente
(ad esempio il governo USA con la Chrysler ) il concetto di “salvataggio”
dell'industria da parte dello Stato con soldi pubblici è sbagliato perchè di
corto respiro, oltre che insostenibile in epoca di enorme debito pubblico. E poi
gli USA e gli altri paesi industrializzati sono una cosa, il cosiddetto
“sistema” Italia è un'altra, con caratteristiche sue peculiari. In esso è
evidente che ancora sono in vita (per poco) aziende in crisi che non dovrebbero
più esistere. Ad esempio le acciaierie italiane non sono e non potranno essere
più competitive nel mondo. Già certi processi sono in corso e sorprende che dal
mondo accademico, cui l'attuale governo è così legato, nessuno faccia presente
che tra dieci anni l'acciaio, nel mondo, sarà prodotto, a costi per noi
insostenibili, da polacchi, cinesi, indiani, sudamericani. Si tratta di
produzioni a basso valore aggiunto che troveranno contesti paese più adatti alla
loro produzione, rispetto alle caratteristiche dell'Italia. Per l'acciaio
l'Europa Occidentale è finita, non ha futuro. Il problema di fronte alle classi
dirigenti del nostro continente è investire in attività e imprese che abbiano un
futuro. Le aziende che lo hanno sono quelle che producono autonomamente utili,
che riescano a mantenersi sul mercato, non quelle che campano di sussidi
pubblici. Questo quadro è peggiorato, in Italia, dall'incapacità dei sindacati
di pretendere e ottenere aumenti salariali derivanti dalla eventuale riduzione
di imposte e contributi. Questi sindacati sono infatti sotto il ricatto e il
potere di una pubblica amministrazione mastodontica che vuole ingrassare sempre
di più, senza dare servizi decenti e che dà da mangiare a partiti e agli stessi
sindacati. Tutto ciò rende non più competitivo il costo del lavoro italiano.
Oltre all'acciaio, analogo discorso può essere fatto per il carbone e per la
situazione sarda. Le strade che si stanno percorrendo non porteranno a nulla se
non a maggiori illusioni e caos. Potevamo arrivarci con più calma e
organizzazione. Le classi dirigenti sono state miopi e ora per salvarci dovremo
fare in fretta, molto in fretta. Taglio di rami inutili della pubblica
amministrazione, mobilità guidata e veloce del personale tra amministrazioni
esaurite e quelle che abbiano una prospettiva per evitare licenziamenti,
utilizzo massiccio delle zone franche fiscali per promuovere sviluppo,
investimento per lo più in turismo e cultura. Questa l'unica via d'uscita, per
Taranto e per la Sardegna, dicendo addio all'ILVA e alle miniere. Ma ciò vale in
generale per l'Italia e per situazioni analoghe sul territorio. Basta con l'auto
a benzina, si parta subito con l'elettrico e con i mezzi di trasporto pubblico.
Se FIAT vuole starci bene, altrimenti scindere i destini del nostro Paese da
quelli di questa azienda. Come altri hanno detto, ci sono circa due miliardi di
persone, dalla Cina e dall'India che già vorrebbero venire a visitare l'Italia
ma che non possono farlo per la nostra disorganizzazione nel settore turismo e
cultura (ad esempio il nostro patrimonio artistico non è catalogato e
digitalizzato) . L'Italia ha i cervelli e gli imprenditori per poter realizzare
ciò. Monti li metta in condizione di lavorare. Quando si sostiene che nessun
paese al mondo ha una economia che funziona senza la presenza dell'industria, si
dimentica di dire che quelle dell'acciaio e quella del carbone sono solo due dei
tipi di industria. La divisione del lavoro internazionale sta cambiando, quei
tipi di industria che abbiamo avuto nel passato tra poco emigreranno verso paesi
nei quali le condizioni per ospitarle sono più adeguate. L'Italia deve avere
l'industria ma non di quel tipo. Turismo e Cultura possono procurare, se
sviluppati e organizzati, anche più posti di lavoro della decadente industria
pesante italiana. L'Italia, altri hanno detto, e a ragione, potrebbe essere per
l'Europa quello che la Florida è per gli Stati Uniti, con una qualità della vita
incomparabilmente migliore. Capiamo che imprenditori che hanno campato di aiuti
statali finora e sindacati che hanno vissuto di trattenute sindacali di
lavoratori dipendenti di fabbriche di massa possano essere a disagio in
conseguenza di questi cambiamenti. Ma il problema è capire se l'interesse del
Paese coincida con loro o con altre esigenze della popolazione. Ovviamente, nel
mezzo, ci sono altri casi in cui una produzione (stiamo parlando dei nostri
settori di eccellenza) ha senso che rimanga in Italia ma è necessaria una
ristrutturazione relativa a caratteristiche organizzative che diminuiscono la
competitività. Ma è finito il tempo di sprecare e buttare soldi pubblici. In
Italia dobbiamo avere il coraggio di far fallire imprese decotte e superate e di
favorire il ricambio ad opera di soggetti più dinamici che creino profitti e
posti di lavoro, stimolando la raccolta di capitali dai privati , facilitata
dalla detassazione degli investimenti. .
Sorprende che nessun sindacato italiano
oltre al nostro abbia il coraggio di sostenere queste cose.
In bocca al lupo agli operai dell'ILVA e
dell'indotto, siamo e saremo con loro indipendentemente dal fatto che siano
d'accordo o meno con quanto da noi proposto.