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venerdì 10 gennaio 2014

LA POSIZIONE DELL'AGL SUL JOBS ACT DI RENZI

Abbiamo letto con interesse il documento elaborato dalla nuova Segreteria del PD e, nello spirito fatto proprio da chi l'ha redatto, forniamo anche noi un parere franco e spassionato.
Il metodo, per carità, è, politicamente più che corretto. Ma non ci sembra opportuno e spieghiamo perchè. E' dal 2012 che Renzi, allora facendo proprio il frutto del lavoro di anni del Prof. Ichino, aveva detto chiaramente quale fosse la sua proposta di riforma del lavoro. Chi l'ha votato nelle primarie lo ha fatto essendo a conoscenza di quelle proposte. Ora, che ha realizzato quanto sognato, ossia che si è preso il PD con una schiacciante maggioranza del 70% di consensi su una platea di 3 milioni e passa di votanti, dopo peraltro aver picchiato duro contro la linea conservatrice della CGIL e strizzando l'occhio al primo Marchionne, non può improvvisamente divenire incomprensibilmente così cauto e prudente. Doveva imporre, o tentare di imporre, così come sta facendo su altre importanti questioni, al governo Letta, a una maggioranza e a un Parlamento impotenti e delegittimati una sorta di diktat: la riforma del lavoro entro non 8 ma 1 o 2 mesi. Perchè è il lavoro l'emergenza italiana n. 1, quello il problema che potrebbe a breve mettere in discussione la democrazia nel nostro Paese. E invece no. Nonostante l'appoggio entusiastico di Bonanni (certo, non indicativo, poiché la CISL dà ragione al più forte indipendentemente da chi sia e dal suo colore politico) e dell'Europa, Matteo su questa riforma sembra aver grandi timori. Forse perchè ricorda la reazione della CGIL di Cofferati al tentativo di riforma del governo Berlusconi? Chissà... Tony Blair (per richiamare una figura in queste settimane oggetto di un accostamento da parte della stampa americana) se ne sarebbe fregato degli ostruzionismi o degli avvertimenti del più forte dei sindacati. O delle stoccate prolettiane dell'ex presidente dell'Istat diventato, chissà perchè proprio lui, inopinatamente, Ministro del Lavoro. Oltre a un “Fassina chi?” ci saremmo aspettati in questi giorni da Renzi anche un “Giovannini chi?” e certo eventuali dimissioni non avrebbero sconvolto il mondo del lavoro, anzi... (chiedere a Squinzi per averne conferma). Sacrosanta ma incompleta l'affermazione in base alla quale i posti di lavoro vengono creati dagli imprenditori ma non dalle leggi. Incompleta perchè avrebbe dovuto precisare che le leggi sono il frutto del lavoro della politica e se le leggi fossero totalmente ininfluenti non si comprenderebbe allora la ragione dell'esistenza di Renzi e del Jobs Act che propone. Ma soprattutto che (e qui volevamo più chiarezza nei confronti della Cgil) non è più tempo (nè ci sono risorse) per campagne di creazione di posti di lavoro pubblici in emergenza, tanto meno nella Pubblica Amministrazione, come si fece nel 1978, per fungere da valvola di sfogo delle tensioni sociali. E (nei confronti della Fiom) che è vero che vi sarebbe necessità di assunzioni per lavori socialmente utili (risanamento del territorio, messa in sicurezza delle scuole, ecologia, energia, ecc.) ma è impossibile che ciò possa realizzarsi né con assunzioni statali né dirottando fondi da destinazioni (Tav, grandi opere, armamenti, ecc.) per le quali si decise anni fa, impossibili ormai da recuperare e che creerebbero per lo Stato più oneri che benefici immediati. E poi che la crescita, la sola che, pur con un gap temporale di circa un anno, potrà far creare alle aziende posti di lavoro, richiede scelte precise e non più rinviabili: l'aumento delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti con la riduzione del cuneo fiscale non a carico dei contribuenti ma della parte improduttiva della PA, in modo che gli stessi possano acquistare, nel mercato interno, i beni da essi prodotti e l'unica operazione che a breve possa attirare gli investimenti necessari (quali imprese italiane infatti secondo la Fiom potrebbero fare altrettanto, con questa crisi, tenuto conto che lo stesso Marchionne ha fatto pagare alla Chrysler l'acquisto delle azioni con cui Fiat ha assunto il controllo di quella casa automobilistica?): rendere attraente l'Italia per gli investimenti stranieri attraverso l'introduzione di ampie zone franche fiscali a burocrazia zero (Renzi parla degli investimenti stranieri nel documento ma ponendo l'accento sulla semplificazione più che sull'aspetto fiscale). A spese di una PA che ormai procura danni a tutti per il solo fatto di esistere, andando contro e infrangendo qualsiasi regola imposta dall'Europa che si frapponga a questa liberazione di risorse e opportunità. Più che di visione per i prossimi anni e di piccoli interventi per i prossimi mesi, avremmo preferito che Renzi parlasse di New Deal, di politiche di settore (più avanti, è vero, si parla di politiche industriali ma senza anticiparne le direttrici e quindi le scelte conseguenti , soprattutto relativamente al manifatturiero, esempio Fiat, Ilva, ecc.) e di interventi shock. Non vorremmo che questa prudenza derivi da segnali già ricevuti da qualcuna delle lobby che si dice manovrino trasversalmente tutte le forze politiche. Sarebbe gravissimo e sconfortante. Ci sembra poi riduttivo, nel momento in cui si evoca la globalizzazione come scenario da considerare comunque ancora positivamente, aver implicitamente liquidato una questione (in Italia cara tradizionalmente solo alla Lega Nord) , quella di una versione riveduta e corretta ma attuale dei dazi o, più complessivamente, di una migliore gestione dei rapporti commerciali nei confronti di realtà che rischiano entro breve di far appassire qualsiasi nuova velleità di rafforzare lanostra bilancia commerciale. Vi assicuriamo che negli Usa e in quei Paesi che già stanno assaporando la ripresa è una questione tutt'altro che superata o messa in soffitta. Pensavamo poi che Renzi (altre figure di statisti che hanno fatto la storia non avrebbero perso questa occasione e non si sarebbero fermati per paura delle rampogne di Grillo o di Repubblica) avesse innovato andando oltre la trita e ritrita polemica su una fantomatica classe dirigente responsabile di ogni male italiano. Lui e il suo gruppo ne fanno parte, certo criticamente, da anni, ma da decenni stiamo aspettando qualcuno, in politica , che abbia il coraggio di rimproverare anche l'italiano medio dei suoi comportamenti più inaccettabili. Il leader deve essere anche, a volte, ruvido e impopolare nel dire in faccia a chi vuol governare quali sono i difetti da eliminare (la mancanza diffusa di senso civico e di spirito di squadra, l'opportunismo, il qualunquismo, il mito della furbizia e dell'illegalità, i pregiudizi territoriali e razziali, la tendenza ad evadere il fisco, il malcostume della raccomandazione, ecc). E questo Renzi, l'ennesimo piacione di turno, non sembra volerlo fare, per ora. Fermare l'emorragia dei posti di lavoro: anche questa una formulazione ambigua. Delle due l'una: o vuoi che comunque i lavoratori permangano il più possibile in azienda (e allora riduzione dell'orario di lavoro, CIG non più in deroga pagata dalla collettività ma CIGO pagata da lavoratori e aziende- tutti e non solo da alcuni come ora- , riduzione e non aumento dell'età pensionabile, contratti di solidarietà, ecc.) ma c'è il rischio dell'illusione, dell'assistenzialismo e di mantenere in vita imprese non più sul mercato Oppure (alla Grillo) pensare non più a salvare posti di lavoro morti ma a salvare le persone con il reddito minimo garantito (anche oltre l'ASPI che già è un sistema di copertura universale per chi perde il lavoro ma non per chi non lo ha mai avuto). O l'una o l'altra. Come già tanti hanno osservato le risorse sono limitate e non è possibile seguire contemporaneamente entrambe le strade. E c'è poco tempo (settimane) perchè le aziende chiudono, le CIG in deroga stanno finendo e i senza reddito non potranno essere mantenuti in eterno dai parenti pensionati. Matteo, lascia perdere i tavoli quindi e decidi subito quali scelte imporre a Letta!L'AGL, lo ricordiamo, è per l'abbandono della CIG in deroga e per dirottare tutte le risorse sul reddito minimo garantito.
Per carità, siamo d'accordo sulla riforma della politica e sul suo valore simbolico, ben vengano i buoni esempi e i risparmi ma qui stiamo parlando di economia, non di etica. La parte marcia della politica trova (e troverà) una sua corrispondenza in una parte marcia dell'elettorato che l'ha eletta e continuerà a sostenerla per anni (nonostante i rottamatori). Un giorno faremo definitivamente i conti ma ora bisogna concentrarsi sul destino della parte sana del Paese.
Altro tabù viene in mente quando si legge il passaggio del documento renziano sulla riduzione del costo dell'energia per le imprese. E' il brano che ha suscitato, nei primi commenti, il maggiore scetticismo. Perchè non si sa dove Renzi pensi di trovare le risorse ma anche per l'inutilità dell'operato di ogni e qualsiasi Autorità di garanzia in un paese per certi versi ancora medievale (per queste cose) come l'Italia. Avremmo gradito un ruggito di Renzi, che l'avrebbe reso ancor più popolare su prezzi e tariffe dei servizi per la popolazione, annoso imbroglio italiano oltre che intollerabile fardello per le masse popolari e per il ceto medio.
E poi perchè , là dove si evidenzia il deficit di competitività dell'Italia nell'attirare investimenti, nulla si dice della degenerazione del ruolo delle banche nel nostro Paese?
Ecco: l'assenza di riferimenti alle banche, in questo Jobs Act è fragorosa. Quando sono proprio le banche , frenando gli effetti di ogni possibile iniezione di liquidità nel sistema, ad essere le massime responsabili del ritardo di una eventuale ripresa e quindi della creazione, indotta, di nuovi posti di lavoro.
Per arrivare a una riduzione dell'IRAP del 10% e a una non quantificata riduzione del cuneo fiscale si ipotizza un aumento dell'imposizione di “chi si muove in ambito finanziario”. Espressione troppo generica. Ci saremmo aspettati una distinzione e relative scelte di intervento tra transazioni e speculazioni e una risposta a chi da una parte (come noi ) si è sempre opposto alla Tobin Tax e a chi invece, essendo favorevole e convinto di essa, lamenta uno svuotamento di essa da parte di lobby finanziarie. Anche qui, come per le banche, la materia sembra minata e pericolosa anche per il leader politico italiano attualmente più forte in circolazione. Alla luce di ciò che garanzia può fornire la politica ai cittadini di possedere davvero la forza per imporre un cambiamento?
Quanto alla promessa di vincolare i risparmi di spesa alla riduzione del cuneo fiscale:ma già l'attuale governo non doveva attuare un impegno del genere? Perchè Renzi (indipendentemente dal fatto che la testa di Saccomanni debba o no cadere) non quantifica subito e si impegna a una immediata destinazione a tale scopo delle somme già risparmiate e dirottate altrove?Cioè diremmo renzianamente: che credibilità può avere chi si impegna a fare qualcosa che, se voleva, già avrebbe realizzato? Facendo un passo indietro, la stessa osservazione vale per le riforme della politica: ci risulta che attuali parlamentari renziani (che tali per ora rimarranno fino al 2018) poi in concreto abbiano votato in direzione opposta a quelle riforme. Solo perchè il leader ancora non era stato investito della carica di Segretario?Ma il parlamentare è o non è eletto senza vincolo di mandato? E quella della riforma della politica è o non è un'emergenza?
Sull'agenda digitale sarebbe bene che Renzi lasciasse perdere le citazioni liturgiche e si renda conto di quale è la condizione delle reti informatiche in Italia. E' inammissibile che lo Stato consenta a Aziende che fatturano cifre enormi di tenere in queste condizioni (pensiamo alla velocità) i cittadini che pagano l'ira di Dio per un servizio scadente persino in città come Milano. Innovazione vera sarebbe Internet libero e gratuito per tutti. Anche per l'incremento dell'occupazione. Pienamente d'accordo sui dirigenti pubblici a tempo determinato. Come noto, noi siamo per lo Spoils System, per il ridimensionamento degli stipendi dei dirigenti e perchè i concorsi accertino anche le reali capacità pratiche dei candidati, indipendentemente dal titolo di studio (come già scritto in precedenza, anche un non laureato dovrebbe avere la possibilità di poter concorrere).
Il dirigente non deve essere indipendente ma dipendente dal potere politico che però venga eletto con meccanismi che assicurino una reale democraticità. Altre soluzioni (autogoverno, sostanziale inamovibilità, ecc.) sono inadeguate a fronteggiare l'esigenza dell'oggi: una burocrazia non autoreferenziale e più potente della politica ma al servizio dei cittadini e della legalità. Stato e Banche: lì è da ricercare l'origine dei mali italiani, là occorre affondare il bisturi, altrimenti ogni riforma sarà vanificata.
Dei piani industriali di settore già abbiamo accennato: che idea Renzi abbia della questione Fiat e dell'Ilva, che prospettive ritiene abbiano i settori maturi in chiave occupazionale è ancora difficile capirlo. E' noto che noi dell'AGL siamo convinti che alla Fiat occorra smettere di dare agevolazioni e consentire a concorrenti stranieri di poterla sostituire in Italia se Marchionne ritiene di trasferirsi definitivamente a Detroit. Che l'Ilva venga risanata , dal punto di vista dell'ambiente,a spese della famiglia Riva (la quale si faccia anche carico del costo degli ammortizzatori sociali) , che venga espropriata e riconvertita in quanto secondo noi l'industria siderurgica in Italia (che per vocazione dovrà essere la Florida d'Europa) non ha futuro.
Anche sul Nuovo Welfare il quadro ci sembra un po' confuso. Semplificazione per noi vuol dire riunificazione delle attuali competenze in materia di politiche attive e passive del lavoro, oggi sparse tra Ministero e Regioni. E poi capire se questo Ministero del Lavoro ha ancora giustificazione di esistere. In particolare, su ispezioni del lavoro e sicurezza sembra non avere più voglia di fare nulla e quindi proporremmo il passaggio delle sue funzioni a rami della Pubblica Amministrazione un po' più motivati e, soprattutto, con una storia di reclutamento del personale un po' più moderna , come ad esempio il Ministero dello Sviluppo Economico (evitiamo quindi la creazione dell'ennesimo carrozzone come sarebbe senz'altro l'Agenzia Unica Federale).
Ha ragione Ichino: 8 mesi per un nuovo codice del lavoro sono troppi. Su questo Renzi ci ha un po' deluso, pensavamo che l'avesse già pronto.Chi ha già perso il lavoro o lo perderà in questi otto mesi cosa mangerà?Pezzi del tavolo di trattativa tra governo e parti sociali?
Quanto al contenuto, l'AGL ritiene che il contratto debba essere unico e che la tutela reale vada non ridotta ma estesa a tutti i lavoratori senza eccezioni. Quindi art. 18 per tutti e rapidità nella definizione delle controversie di lavoro tramite il ricorso obbligatorio a un collegio di conciliazione e arbitrato sotto l'egida pubblica. Chi viene licenziato e l'azienda che licenzia hanno il diritto di avere una risposta definitiva da un organismo terzo e imparziale entro qualche settimana. Basta con un sistema giudiziario che storicamente ha dimostrato, nel capo lavoristico, di non poter funzionare.Se è necessario cambiare la Costituzione anche su questo, lo si faccia il prima possibile.
Sulla formazione professionale è importante che si guardi al risultato. Occorre che siano finanziati da denaro pubblico solo quelle iniziative per cui sia dimostrabile che i partecipanti abbiano trovato effettivamente lavoro.
Anche a noi non piace l'esaltazione e il rilievo dato alla necessità che le esigenze delle imprese vengano poste in rilievo in relazione alle scelte da compiere. Purtroppo sarà così finchè non si individueranno alternative non fallimentari al capitalismo. Se ne facciano una ragione coloro che se ne scandalizzano ma non si chiedono come mai chi propugna altre soluzioni da tempo non riesce a superare lo sbarramento elettorale del 4%.
Siamo d'accordo, lo abbiamo già detto più volte, sulla legge per la rappresentatività. Ci dispiace che il Prof. Ichino non colga l'elemento di prevaricazione insito nei due accordi interconfederali che hanno messo mano in questa materia che, al contrario di quanto dice Bonanni NON è materia di esclusiva pertinenza delle parti sociali. Se non altro perchè non è stato mai inequivocabilmente stabilito, tramite il voto, l'effettivo peso a livello nazionale di ogni sigla. Aggiungiamo che indipendentemente dai risultati di eventuali votazioni va comunque garantito un diritto di controllo e di tribuna da parte di sigle sindacali minoritarie o di recente costituzione. Più garanzie, più partecipazione, più coinvolgimento dei lavoratori. Nelle trattative sindacali e perchè no, nei CDA delle Aziende, purchè non si crei una aristocrazia operaia che venga strumentalizzata dagli imprenditori contro l'interesse della generalità dei lavoratori. Altro argomento su cui ci aspettavamo infine una presa di posizione di Renzi è quello pensionistico. Va ridotta , appena possibile, l'età pensionabile ma soprattutto va tolto ogni sostegno e smantellato ogni meccanismo di adesione coatta ai fondi pensionistici complementari, rivelatisi un autentico imbroglio per i lavoratori.

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