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domenica 1 aprile 2012

28.3.2012: LA CSE MOLTO CRITICA NEI CONFRONTI DELLA RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO

Il 23 marzo scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro con l’equivoca formula “salvo intese”.
Non si capisce bene di che intese si stia parlando visto che il governo ha preferito confrontarsi solo con una parte del sindacato e le solite confederazioni – CISL, UIL e UGL – hanno già dato il loro assenso di massima, non formalizzato solo perché si è preferito terminare il confronto senza concludere un vero e proprio accordo.
Quello che è certo è che non vi è nessuna riforma di rilievo se non la facilitazione dei licenziamenti attraverso la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
L’estensione del reintegro alle imprese al di sotto dei 16 dipendenti e la previsione secondo la quale dopo 36 mesi i contratti a tempo determinato si trasformano in contratti a tempo indeterminato – sbandierate come novità positive della riforma Fornero – sono già previste dal nostro ordinamento e non costituiscono alcuna nuova tutela, come hanno denunciato 56 giuslavoristi, che accusano il governo di disinformazione e spregiudicatezza.
L’unica novità positiva è il reinserimento del divieto di firmare dimissioni in bianco, abolito dal governo Berlusconi.
Ci sembra un po’ poco per giustificare la radicale modifica della disciplina dei licenziamenti che di fatto monetizzano ciò che non dovrebbe essere monetizzabile: il diritto al lavoro e la dignità del lavoro.
Se passasse la riforma come è uscita dal Consiglio dei Ministri, il licenziamento ingiustificato per motivi economici darà diritto solo a un indennizzo, e quello illegittimo per motivi disciplinari non darà un diritto automatico al reintegro ma sarà il giudice a stabilire se reintegrare il lavoratore o indennizzarlo.
È chiaro quindi che si dà il via a uno squilibrio tra i diritti del lavoratore e quelli del datore di lavoro che con un modesto esborso potrà “liberarsi” di dipendenti anche senza giustificato motivo. Il tutto in un paese che ha uno dei più bassi indici di protezione contro i licenziamenti individuali (L’OCSE, su una scala da 0 a 6 assegna all’Italia un indice di 1,69 contro 2,60 della Francia e 2,85 della Germania).
Ecco, visto che si parla sempre di Europa, forse per adeguarci agli altri paesi sarebbe il caso di rafforzare le tutele anziché affievolirle.
Il dibattito che si è poi scatenato sull’applicabilità o meno della nuova disciplina al settore pubblico sembra essere la classica “arma di distrazione di massa”: si è spostata così l’attenzione sullo squilibrio tra lavoro pubblico e privato anziché sul merito del problema.
Stiano tranquilli i detrattori dei dipendenti pubblici, se l’articolo 18 cambiasse sarebbe applicato sia ai dipendenti privati che, in via immediata o mediata da qualche norma, anche ai lavoratori pubblici, con il risultato di avere tutti i lavoratori meno tutelati e il rischio che nella sanità o nei servizi sociali degli enti locali ci si potrebbe ritrovare, per motivi economici, un bel taglio dei servizi alla persona.
A difesa della presunta riforma si sono levate le solite voci favorevoli, a destra e a sinistra. Peccato che questi signori continuino a pontificare su norme che, in quanto soggetti privilegiati, non toccheranno mai la loro vita lavorativa.
È stato così per la riforma delle pensioni, per le decurtazioni di salario e di diritti che i lavoratori dipendenti hanno dovuto subire, sarà così anche per questa riforma.
E a proposito del disegno di legge, Marco Carlomagno, Segretario Generale della CSE, ha dichiarato: “Ridurre le tutele e monetizzare i diritti è sbagliato. Gli investimenti esteri non arrivano nel nostro Paese a causa della criminalità organizzata, dell’alto tasso di corruzione, della carenza di infrastrutture e del mancato funzionamento della giustizia civile. Ecco, se c’è un problema legato all’applicazione dell’articolo 18, è quello legato alla durata dei processi. Ma può uno Stato democratico scaricare le proprie inefficienze sui lavoratori??  Fortunatamente, il disegno di legge dovrà affrontare il vaglio del Parlamento, dove noi presenteremo le nostre proposte per modificarlo radicalmente”.
LA SEGRETERIA GENERALE CSE